Il mio legame con Castel di Ieri, un paradiso fra le superbe montagne Abruzzesi

Il mio legame con Castel di Ieri, un paradiso fra le superbe montagne Abruzzesi

Dalle mie parti il vento non arriva quasi mai.
Se si avvicina, resta intrappolato alle spalle delle montagne e sta zitto o parla a voce bassa, come un bambino nascosto dietro una tenda.
Dorata e secca d’estate, avvoltolata alle recinzioni degli orti e ai rovi di more, questa terra diviene opaca d’autunno e già ai primi di settembre impallidisce, corazzandosi di addii e cove di rondini in partenza.
D’inverno tace, si contrae come buccia indurita all’aria e mentre dorme si argenta di nebbie, tra passaggi di istrici e volpi, poi a primavera si ripete, umettata e impaziente coi bocci selvatici che spuntano nervosi dietro ai sassi e le distese abbandonate di erba medica.
Il mare da qui è lontano centinaia di passi, oltre la screziatura delle cime, forse ad un certo punto si inizia a vederlo affiorare dal basso, quasi fosse il cielo intorpidito in terra. Il mare non è di qui, è di un’altra razza, è solo una leggenda forestiera, uno svago frivolo per chi si scompone alle correnti.

La mia terra è un’isola senza acque, cinta di terra, di valichi nudi e boschi ispidi, ricamata a faggeti e primule, sporta al freddo, ai ceppi ardenti, al silenzio.


Castel di Ieri ha il nome di una fiaba, di un’antica magia che resiste al tempo, tramandandosi di voce in voce.
È un piccolo punto al cospetto dell’immensità del pianeta, eppure contiene ogni cosa, ogni parola e ogni silenzio. Si erge ritto su un cucuzzolo, vigile e discreto come un animale solitario.
Lo si intravede da lontano, curva dopo curva giungendo da tutte le direzioni: da qualsiasi angolazione lo si osservi, il paese rivela un profilo inedito e delicato che sprofonda in un tappeto di boschi e rocce millenarie.
Sulla piazzetta all’ingresso del borgo, a primavera svettano i fiori rosa dei mandorli, che vanno a sfiorare la pietra bianca della facciata della Chiesa madre, quella di Santa Maria Assunta.


Il cielo abbraccia il cerchio luminoso di case per poi scomparirvi dietro, mentre annodate in fila ad una ad una, le abitazioni procedono e si arrampicano come perle immobili della stessa collana.
Piccole stradine si stringono tra le mura, intersecandosi con altre ancora più strette, per poi aprirsi in minuscoli slarghi battuti dal sole, da dove impera il panorama interminabile dei campi e delle montagne e, a fine giornata, appaiono nuvole di ogni colore.
Si innalzano balconi e piccoli terrazzi, finestre fiorite e tendine ricamate a silenzio: questo è il centro storico di Castel di Ieri, attraversato dai suoi vicoli profumati e sempre freschi anche d’estate, persino quando il sole non è ancora tramontato.
Qualche rumore impercettibile, la bottega del falegname, un gatto che cammina raso al muro, un paio di piccole tovaglie stese ad asciugare, il cinguettio appuntito di qualche passero e ovunque, come si trattasse di invisibile polvere incantata, un diffuso senso di pace.
La torre è lì nel punto più alto, vedetta silente di voci, salite, giochi, battaglie, nascondigli, segreti. Da più di ottocento anni veglia sul paese, testimone dai tempi più antichi di un Tempo più grande e inafferrabile che pure continua a trascorrere e non si ferma.
Chi passa di qui, resta incantato da un’atmosfera che non è solo bellezza, non è soltanto pace.


Anche quando sta per farsi notte e il sole va a coricarsi, mentre l’orizzonte violaceo confonde il cielo e le montagne in un’unica linea, Castel di Ieri si illumina di una luce calda, accogliente. Le pietre delle mura e delle case si tingono di un giallo intenso, l’aria si raffredda e il buio si distende sul paese.
Giungere qui, restarci soltanto qualche ora o decidere di rimanervi per più giorni, venirci in estate quando i turisti riempiono le case vuote, oppure in pieno inverno, oppure in pieno inverno, quando il freddo tagliente gela l’aria e le montagne, è un modo per riconciliarsi con la dimensione esatta della propria esistenza.
Il passato riaffiora di continuo tra le strade di Castel di Ieri: forse nel nome stesso è scritto il suo destino.
Un luogo in cui il tempo si è fermato per ottenere chissà quale riscatto, o più semplicemente un posto in cui la memoria e la fantasia si fondono, proprio come accade nei sogni.


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