Segni, tra una lingua incomprensibile, una natura straripante e una storia debordante

Segni, tra una lingua incomprensibile, una natura straripante e una storia debordante

Dalla finestra potevo vedere la montagna di Segni, avevo sei anni, e un giorno mio padre tornando a casa mi presentò un suo amico segnino dall’aria simpatica e gioviale.



Quando quel simpatico signore cominciò a parlare, mi accorsi che non riuscivo a comprendere una parola di quello che diceva, in quanto pronunciava suoni che non avevo mai sentito prima di allora.
Tramite un linguaggio “iniziatico” (il dialetto segnino), incominciava la mia avventura in un nuovo territorio che mi portava alla conoscenza della sua popolazione e della sua storia.

Segni, circondata da una vasta area montana e collinare, offriva numerosi mondi da esplorare.


Boschi con querce secolari entro cui fantasticare di poter incontrare elfi e fate. Vasti prati in cui raccogliere more, cogliere fiori, cercare funghi in un’estenuante caccia al tesoro. Castagneti entro cui rovistare, per fare una raccolta di prelibati marroni e con un po’ di fortuna, riempire un canestro di funghi porcini.
L’avventura umana era altrettanto sensazionale perché, con tanta natura, potevo conoscere il mondo agricolo e montano di Segni costituito da boscaioli, allevatori, maniscalchi, cantori, legati tutti alle antiche tradizioni e ai mestieri tipici della comunità montana.


Amavo ascoltare i racconti dei boscaioli e dei contadini narrati in quel dialetto così colorito, di cui potevo ormai distinguerne i suoni e i significati. Ascoltavo i canti locali, “gli stornelli”, che narrano scenette spiritose, argute e talvolta piccanti, tratte dal vivere quotidiano del popolo segnino.
Ma Segni aveva sempre delle sorprese e delle rare bellezze da farmi scoprire.
Un giorno, volendo esplorare il borgo antico, avevo deciso di risalire la montagna evitando di percorrere la strada urbana interna e, avviandomi lungo un sentiero impervio tra i cespugli selvatici lontano dai suoni e dai rumori, d’improvviso mi appariva davanti agli occhi, in tutta la sua maestosa presenza, la bianca, ciclopica, Porta Saracena!
 Mi sembrava che tra i cespugli si nascondessero le ninfe inseguite dai fauni e che da un momento all’altro potessi veder volare un Ippogrifo!
Da quell’imponente opera costruita con blocchi di pietra calcare, sormontata da una coppia di architravi, costituiti da monoliti lunghi 3 metri, iniziava la cinta muraria che risaliva tutta la montagna e la circondava in un circuito maestoso.
Camminare lungo le mura di Segni è un viaggio nel tempo e nella storia.
Percorrendo il sentiero si è spesso affiancati dal vuoto, perché la china della montagna è scoscesa e giù in fondo c’è la valle che separa Segni dagli altri paesi. L’opera muraria era stata edificata come fortificazione a scopo difensivo, Segni era una zona di frontiera che controllava gli assi viari che da Roma portavano al sud, passando attraverso la Valle del fiume Sacco.
Come un grande ventaglio Segni mi apriva un nuovo scenario, quello della Storia, mettendo a disposizione di tutti il suo museo archeologico e un gruppo di ricercatori che hanno portato alla luce diversi scoperte di alto valore.

E un gioiello preziosissimo incastonato nella storia secolare di Segni: un Ninfeo!
Il Ninfeo mi è apparso in tutta la sua bellezza come un miracolo, con le sue nicchie e la sua ambientazione con decorazioni a mosaico rustico che ricorda una grotta. Al centro del prospetto principale, in una cornice formata da gusci di telline, una scritta in lettere greche formate da perline di blu egiziano e la firma di colui che lo progettò: l’architetto Quintus Mutius.
La raccolta dell’acqua è sempre stata un’emergenza per Segni che ha provveduto incastonando nella montagna grandi cisterne, vasche e bacini, funzionali alla vita del paese.
Queste opere con la loro forma circolare, sono un ornamento aggiuntivo alla morfologia del paese e alla sua estetica. Sull’antica Acropoli, a fianco del tempio della dea Giunone Moneta, appariva maestosa la Cisterna romana.
Oggi la sua rotondità non raccoglie acqua ma accoglie i suoi abitanti nei giorni di festa come in un’arena adibita a spettacolo.


La millenaria necessità di raccolta dell’acqua è ben testimoniata dalla presenza del grande bacino circolare detto “la Fontana” nell’area delle sorgenti, dove ancora oggi sgorga acqua. Un luogo appartato, dove in un enorme specchio d’acqua di forma circolare si riflette un cielo antico di giorno e un universo stellato di notte.
Tutti i viaggi iniziatici portano a una trasformazione e la vita piena che ho vissuto a Segni nel corso degli anni, mi ha portato a scegliere di vivere nella casa in cima alla collina, di fronte alla montagna, che tanti anni fa mio padre aveva costruito con l’aiuto del suo amico segnino.

La montagna di Segni, decorata dal mosaico costituito dalle tante casette del borgo antico, si staglia ora interamente davanti ai miei occhi.
La sua sagoma a volte mi ricorda quella di un gigante che riposa accovacciato sulla vasta piana del Sacco.
Altre volte al tramonto, tingendosi di colore ocra, mi ricorda le antiche medine dei paesi orientali.
Infine, nel buio profondo della notte, quando sulla grande montagna si accendono tantissime luci, Segni mi appare in tutta la sua magnificenza, come un’immensa nave illuminata a festa, pronta a proseguire il suo viaggio secolare nel tempo.


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