Il 17 gennaio inizia il Carnevale in Basilicata, una splendida regione del Sud Italia con una forte economica agraria, dove diventa satira e dove si esorcizza la realtà deridendola in molti modi. Ma la tradizione carnascialesca più suggestiva di tutte resta quella di Tricarico.
Tricarico è un comune vicino Matera, capitale della cultura 2019, è uno dei centri medioevali più importanti del sud Italia ed il suo nome sembra derivi dal greco ‘città delle tre vette’ o dal latino ‘carro trainato da te cavalli’. Durante il periodo di gennaio-febbraio, questa cittadina si anima con una festa molto particolare.
Tutto inizia all’alba del 17 gennaio, giorno dedicato a Sant’Antonio Abate protettore di tutti gli animali, il sonno della tranquilla Tricarico viene svegliato dal forte batacchiare di campanacci, agitati da “mucche e “tori”, l’màsh-k-r (maschere di Tricarico nel dialetto locale). I figuranti con altri fedeli (seguiti dai propri animali domestici riccamente addobbati) sfilano in processione guidate da un “massaro” o da un “vaccaro” fino a raggiungere la chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate per la messa e la benedizione.
Le Origini del Carnevale di Tricarico
Qui termina il rito religioso e inizia quello propriamente pagano, con le maschere che attraversano in sfilata tutti i quartieri di Tricarico, in una sorta di ‘transumanza moderna’. Le origini del Carnevale di Tricarico sono controverse, con certezza si sa che è legato alla transumanza, ovvero quella migrazione stagionale di greggi e pastori per trovare pascoli freschi (in montagna in estate e in pianura in inverno) che un tempo era prassi in alcune zone del nostro Sud.
Dal sito ufficiale de Le Maschere di Tricarico (www.lemaschereditricarico.it) si legge che “Il Carnevale è stato configurato come un sincretismo della cultura greca con quella italica dei lucani-sanniti”, un popolo insediato in questa area nel VI sec. a. C.
Secondo la storica lucana Carmela Biscaglia e l’antropologo Enzo Spera l’evento risalirebbe al periodo appena successivo all’anno Mille e tutto deriverebbe dalla necessità di sperare in un anno contadino produttivo. I ‘massari’ di Tricarico hanno trasformato quei riti ben auguranti per i cicli stagionali in un carnevale agro-pastorale che, attraverso la continuità delle condizioni di vita economica basate sulla pastorizia, è giunto fino a noi come traccia forte di un passato magno-greco.
Le persone si travestono da animali e mimano la processione di Sant’Antonio. La struttura e l’abbigliamento della maschera non è lasciato al caso della propria fantasia, ma è regolato da un vero e proprio disciplinare che tutela la tradizione fortemente legata al territorio:
Il Toro deve necessariamente essere vestito in nero, scarponcini inclusi, e deve avere un foulard in vita e al collo di colore nero o rosso, così come uno più piccolo per gomiti e ginocchia. Un cappello a falda larga dotato di velo ricopre il viso con lunghi nastri che toccano terra, quasi tutti neri.
La Mucca deve avere abiti bianchi o color nudo, anfibi neri, un foulard al collo e uno al punto vita, 4 foulard piccoli per gomiti e ginocchia in vari colori. Anche per lei un cappello a falda larga coperto da un altro foulard colorato e da un velo bianco che copre completamente il volto e tutto il corpo è riccamente decorato con lunghi nastri multicolori che scendono fino alle caviglie. Entrambe le maschere sono dotate di campanacci.
Anche gli spostamenti seguono un’antica tradizione e ogni passaggio avviene sotto lo sguardo vigile del “massaro” (pastore delle mucche). Le maschere sono disposte in due file e mimano l’andatura delle bestie migranti finché i “tori” improvvisano sorprendenti sortite e, sfuggendo al controllo del “capo”, inscenano l’accoppiamento con le “mucche”. La sfilata termina con il momento della questua, quando la mandria va di casa in casa a batacchiare i campanacci o a suonare serenate con il “cubba cubba”(un antico tamburo) fino a farsi aprire e farsi offrire vino, formaggi e salumi.
Nel frastuono assordante dei campanacci, la transumanza procede, davanti agli occhi di chi osserva quel lento andare colorato ricco di creatività, allegria, accoglienza, ma soprattutto identità territoriale. Un rito fortemente collegato alla società agreste di Tricarico ma che, nella particolare processione, diviene un gioioso momento di sfogo e di rottura verso quella stessa società.
Il carnevale di Tricarico è inserito nella FECC – Federazione Europea Città del Carnevale e fa parte della rete dei carnevali del Sud Italia. Uno dei più famosi scrittori italiani, Carlo Levi, lo ha così descritto nel suo libro “Cristo si è fermato ad Eboli”.
« […] andai apposta a Tricàrico, con Rocco Scotellaro Il paese era svegliato, a notte ancora fonda, da un rumore arcaico, di battiti di strumenti cavi di legno, come campane fessurate: un rumore di foresta primitiva che entrava nelle viscere come un richiamo infinitamente remoto; e tutti salivano sul monte, uomini e animali, fino alla Cappella alta sulla cima …. Qui venivano portati gli animali, che giravano tre volte attorno al luogo sacro, e vi entravano, e venivano benedetti nella messa, con una totale coincidenza del rituale arcaico e magico con quello cattolico assimilante […]»
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