Ognuno di noi è stato influenzato in qualche modo dalla cultura russa che per me si riflette nella matematica, la musica e la letteratura di tre momenti particolari della mia vita.
Quando ero giovane, prima che l’ictus cambiasse la priorità negli emisferi del mio cervello, amavo alla follia la matematica. Ho fatto il biennio di ingegneria in un battito di ali e pensavo quasi di cambiare facoltà e di rimanere nell’ambito delle astrazioni logiche.
Ci sono molte barzellette su matematici, fisici e ingegneri e tutte vertono sulle dimostrazioni per assurdo dei matematici e sulle risoluzioni dei problemi degli ingegneri.
Avete mai sognato di vivere in un mondo a migliaia di dimensioni? Perché limitarsi alle 3 o 4 che ci dicono a scuola? Io adoravo queste possibilità e trovavo le assurdità matematiche simili alla poesia.
Oggi le migliori scuole di matematica sono in India, ma quando ero giovane mi divertivo in 3 modi diversi: se volevo capire la matematica ascoltavo il mio professore italiano, se volevo capire a cosa serve la matematica compravo un libro della Oxford University ma se volevo giocare con le astrazioni più improbabili avevo il libro di esercizi del Demidovic. Allora la Russia era l’India di oggi.
Ed ora arriviamo alla musica di Tchaikovsky e al suo Piano Concerto n. 1.
All’università studiavo in biblioteca, così potevo risolvere gli esercizi più complessi con gli amici. Da poco erano uscite le cuffiette con il Walkman (ricordi per chi ha la mia età) e il giorno prima degli esami ascoltavo solo il Piano Concerto di Tchaikovsky a tutto volume.
Una carica di adrenalina pura. Nessuna altra musica è così potente, neanche la Cavalcata delle Valchirie di Wagner (che pure è stata utilizzata in molti film come Apocalypse Now).
Eppoi arriviamo alla letteratura russa. Straziante come poche, arriva a squarciare l’anima con un una disperazione alla Fantozzi. Romanzi che muovono ad un sorriso amaro, e ricordiamo che Paolo Villaggio ha vinto il premio Cechov in Russia con i suoi libri.
A 21 anni ho avuto una semiparalisi che mi ha anche creato problemi a parlare e a concentrarmi. Pochi giorni dopo l’evento dormivo ancora oltre 20 ore al giorno e mi stancava anche la definizione di una sola risposta delle parole crociate.
Ero studente e non vedevo l’ora di tornare all’università così ho iniziato la mia riabilitazione mentale proprio dalle parole crociate, poi dai racconti brevi ed infine alla lettura. Sono partita dai romanzi inglese con le loro storie d’amore appassionate e quando sono stata in grado di leggere Dostoevskij, ho deciso che potevo essere in grado di leggere un libro di ingegneria e tornare a studiare.
Ieri ho assistito allo spettacolo ‘Memorie dei Bassifondi’ della compagnia Teatro della Fama di Gubbio durante la Rassegna Nazionale del Teatro Amatoriale a Colleferro.
Lo spettacolo era tratto dall’Albergo dei poveri di Maksim Gorky ed era stato adattato in modo molto originale. Infatti la compagnia aveva iniziato le prove durante la pandemia così aveva trasformato lo spettacolo in una serie di monologhi che ogni attore recitava come un assolo.
Il presidente della compagnia Michele Pastorelli (che interpretava il proprietario dell’albergo) ci racconta: “Abbiamo scelto lo spettacolo prima dei problemi geopolitici e non avremo mai potuto immaginare tutto quello che sarebbe accaduto dopo. Nel frattempo, durante la pandemia l’idea di smembrare il testo in monologhi ci ha permesso di far entrare i nostri allievi profondamente dentro questi personaggi così sofferenti e in un certo senso la costrizione della pandemia ha aiutato”.
Una scelta intelligente ma anche molto difficile per una compagnia di teatro amatoriale.
Alcuni attori hanno raggiunto livelli altissimi di interpretazione sapendo esprimere il dramma della vita in modo coinvolgente e abbiamo intervistato il regista Riccardo Tardoni: “Prima di essere un regista sono un attore e leggo molti testi prima di scegliere quello da portare sul palcoscenico. Quando ho scelto Gork’ji mi hanno dato del pazzo perché è un testo forte, ma proprio questa sua intensità ti porta a vedere il meglio e il peggio dell’essere umano. Mi sono sentito quasi come Quentin Tarantino quando ha scelto di fare pulp Fiction”.
Devo confessare che l’emozione più grande è stata la musica con i musicisti Paolo Ceccarelli, Ewma Grace e Michele Fondacci che hanno scritto le musiche curando gli abbinamenti con i differenti personaggi. I musicisti erano sul palco e la musica dal vivo ha aumentato l’intensità della rappresentazione.
Complimenti alla creatività della compagnia che ha saputo continuare a fare teatro durante la pandemia. Mi riesce difficile citare tutti i personaggi ma ognuno di loro ha lasciato qualcosa nel cuore e nella mente degli spettatori.
Ad majora!

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