Viterbo. Chiesa di Sant’Angelo in Spatha

Viterbo. Chiesa di Sant’Angelo in Spatha

La chiesa di Sant’Angelo in Spatha è una delle più antiche chiese di Viterbo e faceva parte del primo nucleo del Vico Biterbo.

La sua fondazione risale quindi intorno al 1078-1088 e il consiglio del borgo veniva annunciato dal suono delle campane del suo campanile, che oggi non è più presente.

Nel 1092 venne dichiarata Collegiata, ossia retta da un collegio di 12 preti.

Il nome di Sant’Angelo in Spatha viene dalla famiglia Spatha che la aveva in custodia.

L’originale facciata romanica venne distrutta con il campanile nel 1549 e ricostruita da papa Pio IV Medici il cui stemma è chiaramente visibile all’ingresso accanto a quello dei Piccolomini.

Originariamente la chiesa aveva 3 navate con 3 absidi, mentre con il rifacimento del XVIII secolo è un unico ambiente in stile neoclassico.

Fra le opere d’arte al suo interno, un trittico e un Crocifisso del Trecento e una Madonna con Bambino tra i santi del ‘600 ad opera di Filippo Cavarozzi da Viterbo.

Un'altra opera degna di nota è un altare in legno scolpito dorato in stile barocco.

La sua facciata è oggi in intonaco semplice ed è ornata dal sepolcro della Bella Galiana, un sarcofago etrusco-romano sorretto da due colonne e con una raffigurazione della scena della lotta fra la scrofa e il leone.

La storia della Bella Galiana riprende la leggenda secondo cui Viterbo sarebbe stata fondata da profughi troiani.

In ossequio alla loro storia, i viterbesi allevavano un grande maiale bianco (troia) alla quale offrivano ogni anno una giovane vergine nel giorno di Pasqua.

Quando toccò alla bellissima Galiana dalla pelle trasparente, un leone corse in suo soccorso e la portò con sé nella foresta.

Da allora si interruppero i sacrifici umani, venne costruita la chiesa di Santa Maria della Scrofa mentre Galiana cresceva e veniva ammirata da tutti per la sua bellezza.

Ma la sorte della fanciulla non fu comunque fortunata perché un soldato romano cercò di averla a tutti i costi e il padre decise di ucciderla piuttosto che lasciarla al romano.


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