“Non si ricordano i giorni.
Si ricordano gli attimi.”
(C. Pavese)
Stamattina, mentre mamma sistemava alcuni oggetti nell’armadio della mia casa di Genzano, all’improvviso, dallo scaffale centrale, è comparsa la tenda bianca a fiorellini arancioni.
Quella che fu confezionata da nonna Annarella nel 1983 per le finestre di quella che Valentina chiamava “la casina”, ossia del prefabbricato donato dai bergamaschi a noi, terremotati lionesi.
Improvviso, il ricordo di attimi lontani.
Il container che ci fu donato era bianco e azzurro, di forma rettangolare, con cucina, due stanze da letto e bagno.
Era arredato in modo semplice ma fine.
A noi, che eravamo bambine, sembrava una casetta accogliente e sicura, anche se umida in inverno e calda in estate.
Era il rifugio, piccolo e sicuro, in cui sognare. Io mi affacciavo spesso dalle finestrelle che immettevano nella parte retrostante del “Villaggio Bergamo”, dove vi erano i containers giallo ocra, dalla forma irregolare.
Lì abitavano Edmondo e le Piccole Sorelle che, con la loro presenza, rendevano le giornate più serene. Amavo osservare la vita che ricominciava a scorrere fuori dall’abitacolo, salendo sulla sedia di paglia e spostando quella tenda, dimenticata e ritrovata stamattina… Mi piaceva guardare fuori, restando dentro, al sicuro.
La finestra era un affacciarsi sul mondo, che riprendeva a pulsare dopo la sospensione del terremoto, ed anche una protezione. Ogni mattina, bevendo latte e Nesquik, ed ogni sera, per osservare le luci dei lampioni, spostavo quella tenda e… guardavo.
Quello che vedevo era il mio stato d’animo.
Anche le giornate fredde erano luminose ed il paesaggio era sempre nitido: gli alberi, i campi, le persone davano l’impressione di una gelida fragilità, come se un semplice colpo di vento o un urto potesse frantumarli di nuovo.
L’aria vibrava, come le nostre vite.
Guardavo dalla mia finestra, oltre quella tenda, un paesaggio che era già dentro di me e “sentivo emozioni che erano già nel paesaggio”.
Anche oggi, dopo trentasette anni, la tenda mi ha fatto provare lo stesso senso di labile stabilità provato da bambina ed il mio pensiero è andato subito a Bergamo, alla “città alpina d’Italia”, tanto distante dall’Irpinia, ma profondamente vicina.
Non so se chiamarla casualità. Non so se è solo uno scherzo del fato.
So di certo che, da stamattina, ho Bergamo nella mia testa.
Ho quegli attimi passati molto vicini.
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