Da quel giorno il tempo era passato in un battibaleno, eppure qualcosa era rimasto intatto.
Molti anni prima ero sceso con mio padre da Saletto, dove abitavamo, fino a Dosanna per stipulare un contratto per la fornitura della ghiaia. All'epoca la città era in espansione e le imprese erano molto attive.
C'era quella strana e curiosa fiducia nell'aria che ognuno potesse costruirsi una casetta propria.
Tutto quello che non si era riuscito a realizzare nei decenni precedenti, sembrava che potesse avere compimento in pochi anni.
La fine della guerra, che aveva sulla coscienza il travolgimento d’intere giovinezze, portava un vigore benefico al quale tutti avrebbero potuto attingere.
L'impresario in questione era anche grossista di materiali da costruzione. Mio padre sosteneva che era un pezzo grosso e garantirsi la sua fiducia e la sua collaborazione significava avere una sicurezza. Molto più tardi capii perché mio padre mi portò con lui quel giorno, come in molti altri giorni della sua lunga e splendida vita.
La casa del nostro interlocutore era in Via Dei Tigli, una laterale della strada principale, una villetta Liberty, con una cancellata di ferro battuto graziosa e impenetrabile.
Pur essendo a pochi passi dal centro, e per centro s’intendeva la chiesa e la piazza del municipio, possedeva un grande giardino nel quale dimoravano grandi alberi.
Fu in quella casa in Via Dei Tigli che si svolse l'incontro di lavoro.
In un salotto piuttosto grande, quasi in penombra, i due uomini avevano discusso amabilmente dispiegando fogli di carta con progetti di edifici. L'ambiente era accogliente e sapeva di legni antichi con un profumo di cera e di cedro. Alle pareti c'erano molti quadri con cornici scure, dove erano rappresentati tramonti infuocati e albe gentili, nascenti da campagne illibate. Più in là nel tempo venni a sapere che l'autore era il pittore Vittorio Marusso.
Quello che mi aveva colpito particolarmente era la quantità di lampade che c'era nella stanza.
Molte sopra il mobilio, altre, appese ai muri o pendenti dal soffitto accompagnate da mongolfiere di legno o leggerissime di cartone. Tutto andava bene e i due uomini avevano trovato un accordo solido. A suffragio di questo c'era stato anche l'invito a cena.
Complice dell'invito fu l'imprevisto temporale estivo che fece ritirare in veranda mio padre, me, l'impresario, la moglie e sua figlia spuntata improvvisamente.
Anche la veranda sembrava un luogo magico, con l'intarsio di vetri colorati cattedrale e numerose piante dalle foglie lussureggianti.
Durante la cena, che si era svolta per lo più a lume di candela a causa della sospensione dell'energia elettrica, venni a sapere che la figlia era sposata con un ingegnere, che per motivi di lavoro era spesso fuori Dosanna.
Era una ragazza dai capelli biondi appena sopra le spalle, minuta, che portava degli occhiali neri dalla montatura forse troppo grande. Aveva degli occhi all'orientale ma da queste fessure guizzava uno sguardo vispo. Durante la cena aveva continuamente fatto la spola tra la cucina e la veranda, facendo sentire gli ospiti a loro agio.
Fu durante una pausa del temporale che disse: “Qui manca l'aria, andiamo a vedere le magnolie?” e m’invitò a uscire.
Il padre era un grande cultore di magnolie e acconsentì.
Il giardino sembrava enorme e inebriato di profumo. Daisy portava una piccola lanterna a petrolio “Mio padre tiene alle magnolie più di qualsiasi altra cosa.” disse.
“Sono molto grandi.” risposi.
Il giardino sembrava enorme e scurissimo accompagnato dal chiocchiolìo della pioggia che scendeva dalle foglie. Il temporale rumoreggiava lontano e di tanto in tanto, bagliori improvvisi rivelavano le chiome maestose degli alberi. C'erano magnolie e ligustri ma anche corbezzoli e nespoli giapponesi e rose antiche lasciate a cespuglio ricadente e sentieri stretti bordati di erba cavallina e iperico.
Daisy staccò da un ramo basso una foglia di magnolia.
“Sai, non sono qui perché sono annoiata.” disse “E' che a volte mi sento così triste, così inutile.” si passo la foglia irrugiardata sulle labbra e aggiunse “Qui a Dosanna c'è un detto: Tra due persone che non si conoscono c'è solo luce.” e soffiò sulla lampada.
Il silenzio cominciò a prendere forma sonora al ritmico cadere delle gocce dalle foglie.
Avvertii che la ragazza si era avvicinata, ne sentivo il respiro che smuoveva l'umido profumo della magnolia. Poi sentii le sue labbra appoggiarsi alle mie senza invadenza ma, con un unico desiderio. In quel momento sentii che l'armonia della notte era entrata in me penetrando nei tessuti più profondi della mia esistenza.
Passarono degli anni da mettere in difficoltà anche un contabile molto affidabile.
Passarono forse perché nessuno ebbe il desiderio o la forza di fermarli, perché comunque la vita va avanti e si può fare a meno di tutto, anche degli altri.
Passarono giorni limpidissimi quando sull'argine del fiume Pavelia ci trovammo a gridare contro le montagne innevate: “Basta soffrire!” o quando scoperta l'irruzione di una volpe, mettersi sulle sue tracce per capire dove aveva portato i tuoi animali e comprendere come la tua fragilità in questo mondo aveva una dimensione nemmeno misurabile da strumento umano.
Passarono anche quei tempi nei quali mattine candide e immacolate erano dedicate a rimontare delle lampade da barca nella speranza che un giorno avrebbero potuto illuminare ore indimenticabili nel mare imprevedibile e insicuro dell'amore.
Passarono anche i soggiorni nel Viale dei Pruni nel tentativo di domare quei sospiri che salivano a gonfiare i polmoni da chissà quali profondità, tratti alla superficie dalla voce di un padre.
Passarono anche quei tempi in cui generosamente si erano fatti dei gesti, delle scelte, non solo per sé stessi, ma nel tentativo di raggiungere una persona che stava oltre il mare più grande mai navigato da essere umano.
E si cercò di costruire la siepe ideale con il Cotonaster, con il Sorbo degli Uccellatori, con la Rosa Canina, il Pallon di Maggio, il Sambuco e l'Olivello di Boemia.
E si cercò di disegnare con le parole un orto, con la poesia si cercò di far crescere dritta la pianta di pomodoro e farsi scudo quando il vento tentò di spezzare il gambo gentile e bianco del girasole.
Quando sembrò che un solo temporale potesse abbattere ogni tristezza arrivò la notizia che era stato scovato un esopianeta a cento milioni di anni luce. Si cominciò a contare questa quantità di luce senza che le lancette si muovessero e nemmeno la loro ombra.
Dopo essersi stancati di dar dimora ai gatti che finivano la loro esistenza urtati dai gusci metallici manovrati dagli umani, si tentò di salvare almeno una volta la vita di quel gatto rosso tigrato con la mantellina sulle spalle e la pettorina bianca.
Si progettò il luogo, dove ospitare l'osservatorio del Cavaliere delle Stelle, un recinto quadrato di fitti ligustri, il quale si raggiungeva percorrendo un sentiero largo, un metro e mezzo costituito dall’Ortensia Rampicante chiamato Viale della Purificazione.
Si attese con impazienza per alzare la torre, ne furono alzate diciotto ma solo dipinte.
A riportare la realtà nel tempo fu il padre di Daisy che richiamandola le ricordò che il mattino seguente sarebbe dovuta partire per Belluno.
Non piovve più.
Le gocce che erano rimaste sulle foglie degli alberi di quel giardino furono archiviate nell'Hortus Conclusus della memoria per proteggerle dalle evaporazioni, dalle distrazioni e poterle usare in maniera parsimoniosa come linfa benefica quando la tristezza si fosse presentata all'alba.
Dopo i convenevoli e i ringraziamenti di rito, il padrone di casa ci accompagnò. La moglie arrivò con un piccolo mazzetto di roselline violetto e porgendomele disse: “Queste sono Damasco, sono per vostra madre.”
Ci salutammo così, con la stessa cordialità di poche ore prima.
Io e mio padre rientrammo a Saletto in silenzio, ma alla fine le sue parole abbatterono ogni imbarazzo: “Gli affari sono una cosa, il divertimento un'altra, ricordalo.”
Non ritornammo più sull'argomento né io, lo accompagnai più a Dosanna.
Il ricordo di quel bacio però mi rimase sempre dentro, così ogni anno quando fiorivano le magnolie prendevo una decina di fiori e di foglie, vi praticavo un foro centrale e v’innestavo il gambo del fiore così da ottenere una barchetta. Poi mi dirigevo nelle grave di Saletto con una cassettina e lasciavo queste piccole imbarcazioni alla corrente del Pavelia.
Non seppi mai se Daisy nel corso degli anni abbia mai visto i fiori di magnolia passare sul fiume a Dosanna, quello che so per certo è che quella corrente portò il mio amore.
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