Stemma Santa Margherita di Belice
Santa Margherita di Belice stemma

Santa Margherita di Belice

 

”Il sonno è ciò che i siciliani vogliono.”

“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.”

Queste frasi sono le più celebri della letteratura italiana. Ben note espressioni che Giuseppe Tomasi di Lampedusa, fa dire da un suo antenato il principe Fabrizio Salina nel romanzo Il Gattopardo.

Il vasto territorio del Belice fu abitato, nei secoli passati, da Sicani, Greci, Romani e Arabi, ora è abitato dai belicini.

In particolare scriverò di Santa Margherita di Belice, una cittadina adagiata sulle dolci colline della Sicilia sud occidentali a 400 metri sul livello del mare, poco distante dai monti Sicani. Il suo territorio è delimitato dai fiumi Senore, Belice e Carboj, ricco di lussureggianti culture: vigneti, uliveti e fichi d'india.

Nel 1572 al barone Antonio Corbera fu consentito di costruire un casale fortificato là dove gli arabi avevano costruito la fortezza di Menzel-el-Sindi ed i normanni, dopo un periodo di cristianizzazione, avevano costruito un grande fondaco.

Giorno dopo giorno, intorno al casale, si edificavano case, palazzi, conventi e chiese, così nel 1610 vista l’intensità della popolazione, Filippo lll di Spagna autorizza il casale ad essere un nuovo comune con il nome di Santa Margherita.

Ai Corbera, subentrano i principi Filangeri antenati di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore quando parlava di Santa Margherita la definiva “un paradiso terrestre e perduto della mia infanzia“.

Il violento sisma del 1968 distrusse quasi totalmente il paese cambiando l’aspetto urbanistico, ma non certo la magia dei luoghi. A perenne memoria rimane come simbolo della sofferenza, del disastro e dello spirito della rinascita il quartiere di San Vito.

 

Piazza Matteotti Santa Margherita di Belice
Palazzo Filangeri sede del Comune Santa Margherita di Belice
Nella parte alta del paese dal luogo chiamato “Calvario” si può ammirare tutta la valle del Belice: il lago Arancio, un bacino artificiale che va dal fiume Carboj al monte Arancio, il Cretto di Burri e i monti che fanno da corona ad una delle più belle valli della Sicilia.
Il maestoso palazzo del Gattopardo, semi distrutto dal terribile sisma del 1968, è stato ricostruito valorizzando la bella facciata, ad oggi è sede del municipio. All’interno del palazzo troviamo il museo del Gattopardo, la sede dell’istituzione Parco letterario Tomasi di Lampedusa e il teatro Sant’Alessandro.
Dal terzo cortile del palazzo una piccola scala ci introduce in un ombroso e fresco giardino situato su un piano più basso. Un progetto che venne realizzato dagli architetti affinché si potesse usufruire dell'acqua di un’antica sorgente per irrigare gli splendidi alberi e le preziose essenze durante i mesi caldi.
Immancabile, per un visitatore, la passeggiata nella villa comunale che si conclude al tempietto del Caffè House.
Pregevoli i pochi stucchi settecenteschi del Sesta e i dipinti del Meli che ancora adornano la chiesa madre.
L’economia del paese si basa sull’agricoltura e sulla pastorizia. La coltivazione dell’uva e la vinificazione hanno dato vita ad una serie di cantine nel territorio e coinvolto altri paesi limitrofi. Fiorente la coltivazione dell'olivo con le varietà nocellaro, biancolilla e cerasuolo.
Un importante numero di caseifici produce un formaggio con latte di pecora unico e particolare: la Vastedda del Belice.
Un vasto territorio è coperto dalla produzione secolare del ficodindia, un frutto che ha trovato in quelle terre il suo habitat naturale. Il ficodindia è una pianta succulenta, appartenente alla famiglia delle cactacee, originaria del centro America e naturalizzata in tutto il bacino del mediterraneo.
Il ficodindia ha subito una diffusione capillare in Sicilia portando un ampio e storico uso in tutta l’isola. A Santa Margherita si svolgono molte fiere di grande importanza per il territorio: quella del 4 settembre, quella del ficodindia e quella “di li ficu“.
Descrivere un territorio, un paese è relativamente semplice... Raccontare di un popolo, vivere tra le genti della Sicilia è molto più difficile.
Giuseppe Tomasi capì bene i suoi conterranei, li amò tanto, ma li richiama attraverso le parole del suo antenato, il principe di Salina.
Dal Gattopardo:
Chevalley: - I siciliani vogliono di certo migliorare.
Don Fabrizio Salina: - I siciliani non vorranno mai migliorare perché si considerano perfetti. La vanità in loro è più forte della miseria.

Scritto da
Betty Scaglione Cimò

Ex insegnante di storia dell'arte. Docente alla For.Com. Da un ventennio impegnata nell'immobiliare internazionale per la promozione della Sicilia ed in particolare per la rinascita dei piccoli...

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