Rallentai l'auto, abbassai il vetro e respirai l'aria fresca del mattino.
Nonostante mantenessi un'andatura lenta ebbi l'impressione di essere arrivata subito all'Olmo della Dragonara. Adoravo quel luogo dove i rami dei secolari alberi, dalla primavera all'autunno inoltrato, incrociandosi creano un tunnel di foglie dando tanta frescura.
Giunta in paese fermai l'auto davanti l'ingresso del Parco della Rimembranza, scesi, mi guardai intorno. Nuove case si mescolavano ai vecchi edifici ancora da ricostruire.
Il cancello del parco era aperto ed entrai.
Iniziai a camminare nei vialetti pieni di pigne cadute dai secolari pini e mi ritrovai nel terzo cortile del Palazzo Filangeri di Cutò a Santa Margherita di Belice.
Con mia grande gioia vidi che tutto era stato abilmente ricostruito. Scesi la scaletta in conci di tufo e stavo per avvicinarmi al cancello che immette nel magnifico giardino, quando fui fermata da una rauca voce maschile.
- Signù dunni sta ghiennu, cu è lei (Signora, dove sta andando, chi è lei?).
Mi girai e vidi poco distante da me un uomo basso e tarchiato con un sigaro spento che gli penzolava dalle labbra mentre parlava. Feci alcuni passi in avanti, l'uomo si avvicinò guardandomi incuriosito. Nonostante fossero passati molti anni lo riconobbi.
- Vartulu, tu sei Vartulinu, non mi riconosci?
- Certu ca ti ricanusciu, Betì tu si, quantu tempu passau. (Certo che ti riconosco, sei Betty, quanto tempo è passato.) Comu mai si cà? (Come mai sei qua?)
- Nostalgia, ritorno alle radici.
- Sugnu cuntento di viriti, gira quantu voi, fa comu si fussi a la to casa. (Sono contento di averti rivista, gira quanto vuoi, fa come se fossi a casa tua.)
Salutai Vartulinu e continuai la mia passeggiata nei ricordi di un tempo lontano, ma sempre nel cuore. Attraversai il primo e il secondo cortile immersi nel silenzio.
Nel terzo cortile il fruscio delle alte palme mi riportò ai dolci ricordi della lontana infanzia.
Velocemente attraversai il gigantesco portone, salii i gradini della scalinata e mi ritrovai in piazza Matteotti. Rivolsi le spalle alla grande palizzata e mi posi dinanzi la principesca facciata del Palazzo Tasca Filangeri di Cutò, residenza di campagna del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ultimo dei Gattopardi.
Mi spostai di alcuni metri e guardai con grande affetto uno dei luoghi a cui ero maggiormente legata: la Matrice. La struttura nella sua linearità si pone elegante e severa.
Dopo il sisma del 1968 a ricordare tanta bellezza e ricchezza architettonica e decorativa rimangono la parete laterale sinistra e l'abside con il suo maestoso altare centrale.
Sentii un nodo alla gola e non potei trattene i felici ricordi. Mi ritrovai, ancora una volta, intenta ad ammirare gli splendidi decori che arricchivano il sacro luogo.
Intagli e intarsi erano arricchiti da puttini che reggevano corone di frutta e fiori. Le lineari colonne scanalate avevano i capitelli sormontati da foglie d'acanto.
Chi entrava per la prima volta nella chiesa di Santa Rosalia, patrona del paese, aveva la sensazione che l'interno della chiesa fosse tutto ricoperto di pregiati merletti.
Mi allontanai svelta, ma i ricordi mi inseguivano. Velocemente passai davanti la chiesa della Madonna delle Grazie e mi diressi alla villa comunale. Percorsi la lunga passeggiata e finalmente giunsi in uno dei luoghi dell'infanzia: il tempietto neoclassico del Coffee House.
Mi appoggiai, come ero solita fare alla ringhiera, chiusi gli occhi per alcuni secondi, e quando li riaprii godetti di un panorama stupendo che mi emozionò fino alle lacrime.
Sotto di me si stendeva la Valle del Belice.
I vigneti, gli uliveti, i campi di biondo grano, i piccoli laghetti e il lago Arancio mi diedero la sensazione di un enorme quadro dipinto dagli angeli.
Non volevo ricordare! In quella terra erano le mie radici, capii che i ricordi non mi avrebbero mai lasciata e che sarei sempre tornata in quei luoghi della memoria.
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