Alla ricerca dell’armonia nella macchina scenica della natività

Alla ricerca dell’armonia nella macchina scenica della natività

Se dovessi far conoscere a qualcuno il percorso della mia espressività artistica direi che esso è iniziato fattivamente da una ricerca sulle origini del teatro italiano.


Era il 1980 quando, ricercando sui libri le tracce lasciate, mi sono imbattuto nel Rinascimento, precisamente nei primi decenni del ‘400 a Firenze.
Più entravo nella conoscenza storica, più mi ritrovavo immerso in una bottega artigianale fiorentina e mi guardavo intorno. Una bottega popolata di artisti, architetti, artigiani, distinzione questa che mi imponeva la cultura del nostro tempo.
Pian piano non riuscivo più a distinguere le categorie, anzi queste scomparivano per dare posto alla figura di un uomo che riusciva con le sue mani a forgiare il corpo dei suoi pensieri.
Avevo trovato ciò che dentro di me desideravo: essere figlio della terra che mi aveva generato. E la nostra terra è fatta di lavoro, di materia, della sua trasformazione per utilità dei fabbisogni quotidiani.
Ho sempre creduto che la cultura fosse un fabbisogno quotidiano, allora ho iniziato a dare corpo ad essa con ciò con cui altri producevano utensili per la vita.

Ero diventato un artigiano del pensiero, della bellezza e dentro la mia bottega ho iniziato a trasformare la materia e renderla emozione da offrire.


È passato di tempo da quell’inizio, il laboratorio è colmo di testimonianze del mio lavoro e ogni volta che vi entro mi narrano ognuna della vita che le ho dato.

Ma, come sempre accade, c’è una fra tutte che più ti rappresenta, che meglio definisce l’inizio di un nuovo percorso.


Era settembre dell’anno 1995, già fremevano i progetti per l’avvento del nuovo millennio, sentivo forte il desiderio di essere anch’io protagonista di quello straordinario momento.

Ho cercato così tra gli appunti della mia memoria e ho trovato tracce di una idea che da più di dieci anni andavo progettando: la Natività.
Sono andato col pensiero ai grandi architetti fiorentini del ‘400, alle loro macchine sceniche realizzate per il racconto delle Sacre Rappresentazioni e subito davanti agli occhi indelebile mi si è presentata la macchina scenica dell’Annunciazione di Filippo Brunelleschi.
In alto tra le capriate un cielo si apriva, una schiera di angeli in movimento sopra i fedeli presi da un estasiato smarrimento e l’Arcangelo Gabriele con una esile corda discendeva fino a Maria ad annunciare l’evento tanto atteso.

Era la glorificazione di Dio con un’infinità di lumi, stelle, che esaltavano la sua reggia celeste.


Io volevo invece rappresentare la discesa di Dio, il suo farsi uomo e la sua domus non poteva più essere celeste ma terrestre. Allora, chiusi gli occhi, ho preso fra le mani la cupola stellata posata in alto, l’ho capovolta e adagiata sul freddo pavimento.

Uomo tra gli uomini.


Non più lo sguardo verso l’alto in un atto di prostrazione, ma sguardo nello sguardo. Così la domus terrestre nella mia rappresentazione doveva essere posta tra i fedeli come centro di una nuova era. Metafora della nuova Gerusalemme mostrata dal settimo Angelo, dal racconto dell’Apocalisse di Giovanni, da un alto monte al profeta.
Gli spettacoli delle Sacre Rappresentazioni venivano proposti nelle chiese colme di fedeli, di ogni ceto sociale e diversificato bagaglio culturale, c’era il dotto ma anche il non colto, c’era il letterato così pure chi con le sue mani aveva da sempre comunicato.
E le mani a Firenze avevano portato l’artigianato a tale maestria che, unita all’ingegno di artisti, avevano creato opere di sorprendente perfezione. Così la materia plasmata diveniva parola all’altezza di assumere negli spettacoli il compito della narrazione.
Nello spettacolo che andavo creando, quale immagine tangibile, materica poteva nell’immediatezza rappresentare per tutti la nascita se non un uovo che, per dare inizio alla vita, doveva aprirsi alla sua metà?
Allora al centro dello spazio della rappresentazione ho posto una grande sfera di legno leggero che si apriva alla sua metà mediante una robusta fune che saliva alle capriate.


Poi discendeva avvolta da un argano manovrato a vista da un attore: una metà rimaneva a terra a significare la nostra contingenza, la cupola capovolta, l’altra sollevata in alto come bisogno di trascendenza.
Un bisogno insito nell’umana aspirazione.
Sulla metà terrestre veniva raccontata la nascita di Gesù, al centro, tra le
braccia della madre seduta e la protezione di Giuseppe. Intorno
ruotavano, su due piste collegate tra loro con un ingranaggio azionato a mano, le figure del presepe: pastori, ancelle che con doni andavano e
bambini che giocavano.
Dal cielo una discesa di Angeli, non per annunciare il volere divino ma per
mostrare la condivisione e la gioia del Padre per il Figlio diventato uomo.
Era il Natale del 1995 e la Chiesa di San Pietro a Magliano Sabina era il luogo della rappresentazione.
Un lavoro lungo, faticoso, con tanti momenti di umano smarrimento per il timore di non essere, come i maestri del passato, all’altezza di dare alla materia quella leggerezza che sapesse narrare, che divenisse essa stessa parola.
Al termine dello spettacolo, dopo i tanti e calorosi applausi, sono rimasto solo e mirando quella macchina narrante, realizzata con le mie mani, ho percepito forte la consapevolezza di aver trovato l’armonia che cercavo.
Il mio fare teatro era davanti a me, in quello spazio sacrale dove il cielo e la terra ritornano a quell’unità primordiale a cui ogni parte dell’Universo, dopo la traumatica separazione, farà ritorno.
I modelli della macchina scenica della Natività e dell’Annunciazione sono visitabili all’interno della mostra Artes Mechanicae, mostra permanente presso la Chiesa di San Michele a Magliano Sabina.
La mostra è aperta su prenotazione (chiamando i numeri: 389 277 5583/ 320 312 0850) e in occasione di alcune festività.

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