Largo alla locanda, i luoghi del ristoro di Segni

Largo alla locanda, i luoghi del ristoro di Segni

Gli sguardi raccontano storie e, attraverso quelle narrazioni, respiriamo la vita.
Mi soffermo spesso a guardare a Segni il luogo della mia infanzia serena e spensierata.

Ambientazione delle fatiche e dei sacrifici dei miei nonni Francesco Milani e Giovanna Colaiori (Giulia per tutti) e della loro straordinaria avventura che li ha visti, per quasi mezzo secolo, gestori di una locanda prima e di un ristorante successivamente (1960).
Le locande e le taverne erano, e sono, posti di ritrovo come lo sono i baretti. In una storia possono anche venir utilizzate come centro operativo, il luogo dove ha inizio l’avventura e dove ci si ritrova subito dopo, per aggiungere, magari, particolari.
Così è stato per i miei nonni.



La prima locanda era ubicata nel centro storico di Segni, sulla Via Dritta (Via San Vitaliano per intenderci) poco distante dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta. Lì i miei nonni dimoravano nella loro casa, affiancata al Palazzo di Sor Domenico Milani.
I locali sottostanti erano adibiti a locanda. Ancora oggi ce la ricorda una insegna di legno con la scritta Cantina Milani.
Ci sono rimasti fino al 1960, anno in cui si sono trasferiti a San Pietro sulla passeggiata al Monte Pianillo dove, nel frattempo, in posizione privilegiata era nato il nuovo Ristorante Pizzeria Bar Milani assieme alla casa arroccata sulla roccia.
La passione per la cucina, l’accoglienza e lo spirito imprenditoriale avevano dettato il nuovo ulteriore passo permettendogli di realizzare il sogno della loro vita.

Fregiandosi di un legame con le tradizioni più antiche del posto ci si poteva bere del vino schietto e mangiare saporiti cibi locali, festeggiare ricorrenze e cerimonie della vita personale e popolare.
Inaugurato il 7 Giugno 1963, il ristorante fin da subito è stato il punto focale di tutta la famiglia completamente assorbita dall’attività che ha assicurato, per oltre venticinque anni, il (buon) gusto tra sapori, piaceri, incontri, relazioni.
Ricorrenti erano le feste danzanti nel parco-dancing. Si, perché, salendo, nello spazio sovrastante l’edificio, si arrivava sulla terrazza e nel giardino.

Su, in un punto accessibile alla grazia, passando dalla terra al cielo, l’orizzonte regalava allo sguardo una spazialità senza uguali.


Da una parte la terrazza con l’affaccio privilegiato sulla Valle del Sacco, con scorci residui fino alla Valle dell’Aniene e del Liri. Dall’altra, il giardino circoscritto all’orizzonte dalle cime dei Monti Lepini cui Segni è incastonata come una perla.
Nella magnificenza di questo scenario, si è tenuto il Gran Galà danzante nel ’70 per l’assegnazione del Premio Saracena D’Oro 1970 e la consegna a personalità del mondo del cinema, teatro, musica, televisione, giornalismo, medicina, meteorologia, sport.

Alle 22 del 29 Agosto 1970, presente la RAI, Enrico Urbini per Rai TV apre la serata invitando a salire sul palco noti personaggi della cultura e dello spettacolo. Nel manifesto che gelosamente conserviamo si leggono i nomi di:
Edmondo Bernacca per la meteorologia
Franco Cetta e Maurizio Riganti per la televisione
Alfredo Sepe, personaggio storico segnino, per la medicina
Marisa Solinas e Soluy Stubung per il cinema
Enrico Polito per la musica
Tony Del Monaco e Vareria Moncardini maestro compositore
Nando Martellini per il giornalismo sportivo.
Il complesso The Lions regala musica di contorno e sottofondo.
Ancora oggi i ricordi più belli svettano su quella collina, sull’antica Acropoli di Segni vicino la Cisterna Romana e la Chiesa di San Pietro, dove i tratti dell’esperienza vissuta, anche tra le macerie della guerra, sono stati sempre connotati dal senso di forza, desiderio, giustizia, sacrificio e sacralità.
È sui ruderi della vecchia casa che sorgeva sul territorio occupato dal nemico durante il secondo conflitto mondiale, che mio nonno (accanito partigiano, ottimo interprete di quei sani valori che tanto lui predicava e che con amore ci ha tramandato) ha edificato quella sua e nostra dimora.
Quartier generale ancora oggi per noi di famiglia.
La pietra nelle mani, la pietra sotto i piedi: metafora del senso di una vita.
 


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